Regista: Adam McKay

Anno: 2019

Produzione: Stati Uniti

Attori: Christian Bale, Amy Adams

 

Il nostro giudizio: OTTIMO

Recensione: Maria Giovanna

 

Alzi la mano chi di voi non ha mai sognato il cosiddetto sogno americano, che prevede il riscatto di una persona da una classe indigente a quella definita di élite. Beh, io sì e tante volte, soprattutto guardando i film che descrivevano molto bene la voglia e forza di riscatto degli americani. Il film di oggi esprime molto bene questa situazione e il regista, insieme al cast stellare, ci da uno spaccato d’America che forse oggi non c’è più: Vice, l’uomo nell’ombra. Sostanzialmente il film racconta la storia del vicepresidente Dick Cheney durante l'amministrazione di George W. Bush, ma non è la storia politica che crea magnetismo bensì l’intreccio tra le due.

Negli anni Settanta Dick Cheney è fidanzato con una ragazza molto intelligente e in gamba, Lynne, che riesce a farlo ammettere all'Università, dove lui però viene travolto dal dolce far niente e dalla non voglia di studiare ma soprattutto, tra una sbornia e l'altra, finisce per farsi espellere. Decide di lavorare ai pali della corrente elettrica, ma continua a bere e, una sera, finisce in una rissa e viene arrestato per guida in stato di ebrezza. A quel punto Lynne, ormai stanca di questo suo atteggiamento, gli dà un ultimatum: diventare la persona di potere che lei, in quanto donna, non potrà mai essere, oppure tra loro è finita. Come è andata a finire lo sappiamo: i due diventeranno quella che viene definita negli ambienti politici una "power couple" e domineranno tranquillamente, quasi nell'ombra, l'amministrazione di George W. Bush, una tra le più devastanti per la democrazia americana.

Cheney viene interpretato dal camaleontico Christian Bale che non delude con la sua performance calma e sicura di sé e che segue il ritmo che la consorte gli indica, la moglie Lynne, interpretata da Amy Adams - assetata di potere molto più del marito ma solo all’inizio della loro ascesa perché il coming out di una della figlia significherà per Lynne una battuta d’arresto. Il marito non  riuscirà a farsi valere durante le elezioni e in un sondaggio interno al Partito Repubblicano, finirà ultimo e deciderà, a malincuore, di rinunciare alle primarie. In realtà sarà la sua benedizione perché, una volta che un timido e fragile George W. Bush – interpretato da Sam Rockwell - diventerà presidente, Cheney potrà esercitare tutto il suo potere e circondarsi con tutti i suoi aiutanti tra cui il suo ex maestro Donald Rumsfeld (con il volto di Steve Carell), più abituato a una politica aggressiva, mentre la caratteristica di Cheney è sempre stata quella di essere quieto, silenzioso, poco appariscente: un uomo nell’ombra.

Il film racconta molto bene il fascino che il potere può esercitare su chi lo possiede o lo acquisisce e di come questo ti inebria e rapisce allo stesso tempo. In tutto il film a fare compagnia allo spettatore sarà una voce fuori campo, Jesse Plemons, che rappresenta l’uomo comune, l’americano medio che con il suo racconto può coglierti alla sprovvista. Il regista, Adam McKay, dopo la grande scommessa continua a sorprenderci con la sua satira e con le sue sorprendenti trovate cinematografiche. Infatti, ad un certo punto sembra che la carriera di Cheney sia ormai finita e sullo schermo appaiono le scritte su come si sia evoluta la vita del protagonista e della sua famiglia, insieme ai titoli di coda, disorientando in questo modo l’ignaro spettatore che si ritrova a rientrare nel ritmo del film con l’arrivo di una telefonata.

Il film è pura satira politica su un’America oramai impoverita sia da un punto di vista morale che economico e sempre più imbevuta di intrattenimento e sballo allo stato puro. La trasformazione apportata da Dick, la nascita di Fox e la conseguente morte della par condicio ad esempio, ci portano a vedere la falsità della destra Americana; confermata in seguito dalle innumerevoli false notizie sulla guerra in Iraq, dall’enormità di email che l’amministrazione Bush dice di aver perso a causa di problemi tecnici ma anche dalla coniazione di nuove espressioni come "interrogatorio potenziato" che, nella realtà dei fatti, serviva soltanto per coprire le torture perpetuate ai prigionieri senza però definirle come tali.

Ad ogni modo il regista non vuole dare tutta la responsabilità a Cheney, ma al sistema che in realtà era già al collasso quando il protagonista inizia a muovere i suoi primi passi alla Casa Bianca, lui è stato capace di cogliere l’attimo e capire che il terreno era fertile per un uomo come lui: riservato, discreto e che sapeva appunto agire nell’ombra.

 

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