Regista: Charlie Kaufman

Anno:2020

Produzione: U.S.A.
Attori: Jessie Buckley, Jesse Plemons, Toni Collette

 

Il nostro giudizio: MOLTO BUONO

Recensione: Alessia Priori

Agli inizi di settembre nelle sale virtuali di Netflix è stato proiettato il nuovo film di Charlie Kaufman e  se il pubblico cinefilo aveva appena risolto l’enigma di Christopher Nolan, Tenet, uscito solo pochi mesi prima, Sto Pensando di finirla qui ne ha immediatamente offerto un altro, più onirico e allucinogeno che mai. D’altronde Kaufman non è conosciuto per la semplicità e leggerezza delle proprie pellicole, ma se  le precedenti (come Essere John Malkovich e Se mi lasci ti cancello) mantenevano ancora un filo logico conduttore, Sto pensando di finirla qui si mostra come un groviglio di nodi apparentemente indistricabili.

<<I’m thinking of ending things>> è il titolo, ma anche la frase che più volte viene ripetuta nella mente della protagonista senza nome (Jessie Buckley), durante il lungo viaggio in macchina con il suo ragazzo Jake (Jesse Plemons). Così ha inizio la storia, nel palcoscenico dell’automobile di Jake, atmosfera statica, claustrofobica, a cui si oppone il paesaggio innevato e indefinito fuori dal finestrino e i pensieri di lei, che volano lontano nelle pause di silenzio. Se non fosse per questi e per la recitazione eccellente dei due, sarebbe impossibile per chiunque oltrepassare l’inizio; infatti, nonostante sia una parte necessaria alla scoperta dei personaggi, al loro approfondimento psicologico e all’introduzione di elementi ricorrenti nel seguito, per lo spettatore iperattivo e impaziente sembrerà solo una divagazione prolissa, verbosa e interminabile. Gli ostinati sopravvissuti, dopo aver scoperto che mancano ancora centoventi minuti, verranno coinvolti nel secondo atto nel film, senza dubbio più dinamico e avvincente: dall’automobile si passa alla casa dei genitori di Jacke (Tony Colette e David Thewlis), dove una semplice cena “dai suoi” si trasforma per la protagonista in un’esperienza inquietante. La realtà e il tempo iniziano a sfaldarsi, l’oggi diventa il domani, l’io diventa il tu e ogni percezione è inaffidabile; la protagonista è confusa, naufraga nelle variazioni che la circondano, naufraga nella propria identità e l’unica cosa a cui riesce a pensare è che forse, sarebbe meglio finirla qui.
Ma cosa?

Nella casa dei due genitori lo spettatore viene sommerso di indizi e chiavi con le quali poter comprendere il fumoso enigma kaufmiano, ma qualora l’incipit lo avesse annoiato, scompare la capacità di districarsi nel gomitolo misterioso di prove, cosicché egli arriva alla terza e ultima parte distratto, disorientato e stranito. Pertanto è normale che questa gli paia allucinogena, priva di senso e assurda, eppure è proprio nell’ultima ora che il significato si rivela, sotto forma di simboli, allusioni e immagini oniriche tipiche dell’impronta di Kaufman. Per farlo, questo si serve del Role reversal, espediente narrativo che egli riprende pari pari dal libro omonimo da cui l’intera pellicola è tratta: lo sguardo del pubblico si sposta dalla ragazza a Jake, al quale si collega la figura misteriosa di un bidello sconosciuto, la cui vita viene gradualmente introdotta nella narrazione sin dall’inizio. << I’m thinking of ending things>> non è più un pensiero di lei, ma di lui, al quale appartiene tutto il resto, tessuto della realtà stesso compreso.

L’intera pellicola nasce dalla mente di Jack, unico protagonista, tant’è che è il solo a non modificare con la realtà circostante: la sua età rimane uguale, così come i suoi vestiti e il suo nome. D’altronde è Jack quel vecchio e triste bidello che ogni tanto si scorge camminare per i corridoi ed è da quell’esatto momento che inizia la sua fantasia: una vita in cui essere stato amato, da una ragazza qualsiasi, che sia fisica, artista, insegnante, modella, biologa; un’esistenza in cui non essere più solo, sentirsi amato e compreso da quei genitori che lo hanno sempre considerato strano e lo hanno scoraggiato nella realizzazione dei suoi sogni e poter sorridere e ballare proprio come in uno di quei musical che lui ama tanto. Ecco la ragione delle diverse versioni di lei, delle risate costruite e barocche dei genitori, della tecnica mista che unisce animazione a musical e a film; il tutto coronato da un unico sentenzioso pensiero << Sto pensando di finirla qui>>.

D’altronde, il sogno rimane tale e la realtà non può non infiltrarsi nella psiche dell’uomo, che continuamente si ritrova condotto al tempo presente, nei freddi e vuoti corridoi di un enorme scuola; vuota e fredda è anche la vita dell’anziano Jack, che, dopo aver rinunciato ad inseguire qualsiasi fantasia e a concretizzarla, si trova intrappolato nella propria esistenza di “ossa” (per citare una poesia di Eva H.D. recitata all’inizio della pellicola stessa da Jessie Buckley) e non può non valutare ogni secondo la possibilità di finirla qui.

It was all a pack o' lies!
I'm awake in a lonely room


Così si conclude l’ultima esperienza di Kaufman, con una canzone tratta dal musical Oklahoma (1995), perfetta per illustrare in pochi versi il senso nascosto sotto l’accumulo di immagini straordinarie e impressionanti, forse un po’ troppo criptiche ed eccessive, per quanto belle.

 

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