Regista: Robert Eggers

Produzione: Stati Uniti-Canada

Anno: 2019

Attori: Robert Pattinson, Willem Dafoe

 

 

 

Il nostro giudizio: MOLTO BUONO

Recensione: Pierpaolo Marcone

 

 

Fine secolo XIX. L'anziano Thomas Wake (Willem Dafoe) e il suo nuovo assistente, il giovane Ephraim Winslow (Robert Pattinson), sono chiamati a trascorrere insieme quattro settimane su di un'isola sperduta al largo delle coste del New England, “un antro oceanico” spoglio e disabitato dove si trova un vecchio faro di cui lo stesso Wake è guardiano.

Una volta sistematosi alla bell'e meglio nello spoglio alloggio che lo ospita, Winslow si mette alacremente al lavoro, ricevendo, tuttavia, dal burbero capo l'ordine tassativo di non salire sulla sommità della torre, dove si trova “la luce”, il segnale luminoso di aiuto ai naviganti.

Incuriosito dallo strano divieto e, malgrado ciò, ligio al suo rispetto, col passare dei giorni, il giovane aiutante inizia a percepire delle strane sensazioni, divenendo sempre più preda di sinistre visioni e torbidi desideri.

Ormai ossessionato dalla conquista del faro proibito e spinto sull’orlo del delirio dalle superstizioni e dai racconti del sempre più tirannico e mostruoso Wake, Winslow, risucchiato in una spirale d’odio e d’alcol, troverà la forza di rivoltarglisi contro, ingaggiando con questi una vera e propria lotta all’ultimo sangue.

 

Dopo il successo di “The Witch” (2015), Robert Eggers rilancia e vince realizzando con “The Lighthouse” un ambiziosissimo thriller-horror psicologico dalle sfumature gotiche.

Il regista statunitense alza la posta in gioco scrivendo col fratello Max una storia liberamente tratta dal racconto incompiuto “Il faro” di Edgar Allan Poe. Ma i riferimenti colti di certo non si fermano qui, perché, se, dal punto di vista puramente cinematografico, il rimando allo “Shining” di Kubrick e all'introspezione bergmaniana è addirittura lapalissiano, dall'altro, le evocazioni letterarie, da Melville a Lovecraft, sono molteplici.

Eggers firma un lungometraggio claustrofobico che, pur semplice nell'orditura della trama, rivela, per altri versi, una complessità a tratti elefantiaca. Compie un'opera d'impianto teatrale imperniata sul mistero e carica di simbolismi. Gioca sulla sottile linea di confine tra realtà e immaginazione. Disorienta lo spettatore sull'identità dei suoi personaggi, in bilico tra deità e umana miseria.

“The Lighthouse” rappresenta un viaggio verticale nella solitudine che sprofonda nell'isolamento, mette in scena la tragica discesa nel suo vortice allucinatorio e violento. Ma è soprattutto racconto dell'eterna contrapposizione tra progresso e superstizione, tra verità e falsificazione, tra libertà ed oppressione. Non a caso, nella seconda parte, il film vira decisamente sul mito greco di Prometeo, che, ribellatosi a Zeus, gli rubò il fuoco per donarlo agli uomini.

E' così anche per il nostro Winslow, il quale, trasfigurato nel titano ribelle - simbolo del progresso e della rivolta contro l’autorità -, si oppone al farneticante Zeus/Wake, lo sfida in campo aperto contrastandone la narrazione apocalittica e superstiziosa, lo combatte per giungere, in cerca della verità, sulla cima proibita del faro ed appropriarsi della sua luce-fuoco; e, alla stregua del Prometeo incatenato, subisce la divina vendetta, stavolta compiuta non dall'aquila mitologica ma, più prosaicamente, dai gabbiani dell'isola.

 

“The Lighthouse” cattura per il suo snodarsi all'interno di atmosfere sospese, lugubri e intense.

V'è un sapore gustosamente retrò in questo lungometraggio; dall'aspect ratio (1,19:1) alla pellicola 35mm; dall'inglese marinaresco di fine '800 (in lingua originale, ovviamente) al bianco e nero espressionista della fotografia curata da Jarin Blaschke e realizzata con ottiche e focali degli anni '30 del Novecento.

E' quest'ultimo - a nostro sommesso avviso - l'elemento di maggior pregio del film, efficace nel rendere iconograficamente il senso d’angoscia e rarefazione che fa da sfondo alla storia. Ma non possono di certo essere dimenticati i dialoghi allucina(n)ti tra Wake/Dafoe e Winslow/Pattinson - entrambi in straordinaria forma - e l'eccellente colonna sonora dai suoni distorti e ossessivi di Mark Korven.

Su tutto domina la sapiente regia di Eggers, elegante nell'utilizzo della camera, misurato nella messinscena di uno script composito e insidioso. Peccato solo per un difetto di gestione del climax che a volte sembra rallentare eccessivamente prima dell'apice.  

 

Insomma, “The Lighthouse” è un lungometraggio d'ottima fattura, il cui pregio è di emanciparsi dagli stilemi thriller-horror B-movie e di rilanciare il genere verso l'alto; lo spinge al di là della propria comfort-zone e lo proietta in una dimensione propriamente autoriale. E se non centra l'obiettivo d'essere un capolavoro, resta comunque un'opera di grande impatto.

Presentato alla Quinzaine des Realisateurs del 72° Festival di Cannes, “The Lighthouse” è, in definitiva, un film che pur volando alto, al contrario di Icaro (tanto per restare in ambito mitologico), non corre il rischio della caduta; ed anzi, quanto più si libra in aria, tanto più dà la sensazione d'essere credibile e avvincente.

 

Da non perdere.

 

 

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