Regista: Manele Labidi Labbè

Produzione: Tunisia, Francia

Anno: 2019

Attori: Golshifteh Farahani

 

Il nostro giudizio: OTTIMO

Recensione: Silvia Alonso

 

In un angolo scalcinato di una soffitta direttamente affacciata a una terrazza di Tunisi fa capolino lo sguardo inquisitore, stranamente anomalo, di un poster di Sigmund Freud. Sul capo indossa il tradizionale Fez e pare fissare con sdegno la proprietaria di quella stanza.

Credo sia l’immagine simbolo di questa simpatica commedia premiata a Venezia, “Un divano a Tunisi”, dove la protagonista, una giovane donna che sfida i pregiudizi preferendo i blue jeans al velo, i tatuaggi sulle braccia ai mandala all’henné delle spose del suo paese, ci proietta in un viaggio a rovescio.

Prima di tutto perché dalle sue parti la regola non scritta è che una giovane donna rientrata dagli studi a Parigi lo faccia per accasarsi, non per esercitare una professione.

In secondo luogo perché  “chi non è senza fede, come in Europa, non ha bisogno di psicologi”.

E in ultimo perché il corso normale della corrente porta sempre dal Medioriente all’Occidente, non viceversa, tanto più per una donna che sogna l’emancipazione.

Ma questo non vale per Selma. Selma ha capito che l’evoluzione è fatta da pochi pionieri che hanno il coraggio di ritornare a casa per fare la differenza, portando il frutto dei propri studi all’interno del proprio paese, il seme di una possibile rinascita tra la propria gente.

In un paese dove la religione ha la pretesa non solo di avere la risposta a tutto, ma di governare ogni ambito del vivere arginando le persone in confini sempre più rigidi fatti di categorie sociali, ideologiche e morali, il disagio del singolo individuo è un uragano implosivo, un magma  incandescente che lavora silente sotto terra pronto a esplodere al primo fremito.

È perciò innegabile che non sia la presupposta crisi spirituale ad aprire un varco alla psicanalisi: se anche il nostro Dio occidentale è morto da tempo, sostituito dagli idoli del consumismo e del progresso, le cose non sembrano andare meglio per i paesi islamici.

Sgretolato lo smalto di una società che vive solo apparentemente protetta dalle proprie certezze, sollevato il coperchio dei dogmi, sbrecciato il muro dei tabù Selma viene travolta dall’ondata d’urto di un uragano da lei stessa provocato.

Capace, nonostante tutto, di resistere . 

Il ritorno, in fondo, è anche questo.

Un film ricco di ironia, coinvolgente e vero. Un affresco accurato della Tunisia di oggi, in bilico tra progresso e tradizione, tra immobilità e modernità. 

Molto bello, direi imperdibile.

 

  1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Rating 3.50 (2 Votes)