Regista: Giacomo Cimini
Anno: 2020
Produzione: Italia, Spagna
Attori: Lorenzo Richelmy, Sergio Castellito, Anna Foglietta
Il nostro Giudizio: OTTIMO
Recensione: Alessia Priori
Talvolta si desidera solo essere ascoltati e compresi. Tale bisogno è al centro della nuova pellicola di Giacomo Cimini, uscita a novembre 2020 su Amazon Prime; un bisogno umano che però spesso non viene soddisfatto. Essere ascoltati, dunque, è l’obbiettivo e quale strumento per raggiungerlo è migliore di una radio con milioni di ascoltatori?
“Big Time Milano! Big Time Italia!”. Dj Steph ripete sempre le stesse parole ogni sera, in apertura del suo programma radiofonico, diretto da un grattacielo a vetri talmente meraviglioso da sembrare impossibile che si trovi a Milano. Affascinante, ipnotizzante, misterioso e indomabile; Steph è il classico eroe byroniano e in quanto tale nasconde un segreto. O almeno, ancora per poco. Infatti, quando arriva una chiamata da un certo Carlo, la serata prende via via una svolta sempre più angosciante. Questi può sembrare soltanto un folle che con la scusa del tentativo di suicidio attira l’attenzione dell’emittente e ne prende il controllo minacciando di farsi esplodere per le strade di Milano; in realtà è astuto e intelligente, tant’è che il suo scopo si rivela essere completamente diverso dall’uccisione di innocenti. Carlo inizia con Steph un gioco a distanza a cui solo loro possono giocare e le cui regole possono essere dettate soltanto da Carlo stesso. Gradualmente vengono sparsi indizi: sinfonie romantiche, foto sui social, citazioni e ricordi. Ognuno di essi è un pezzo di un enorme puzzle che lo spettatore può tentare di ricomporre, ma mai riuscirà a vederlo completato prima dell’ultimo fotogramma.
La capacità di Cimini di diluire gli indizi tiene il pubblico incollato allo schermo e a provare in tutti i modi a decifrare le informazioni lasciate da Carlo. Perché chiede solo musica classica? Cosa è quella scheggia che ha postato online? Perché si fa chiamare calabrone? Ma sopratutto, chi è Carlo? Le risposte non arrivano subito né direttamente ed è questa la forza del Talento del Calabrone, oltre ad una colonna sonora all’insegna del classico e una sceneggiatura studiata che cita Bertrand Russel e Paul Dirac. Sfortunatamente il leitmotiv dell’intero film è una credenza priva di fondamento e più volte smentita: “All’inizio del secolo in Germania qualcuno pensò che per il bombus terrestris, grosso afide, erroneamente identificato come calabrone fosse impossibile volare visto le dimensioni ridottissime e la forma delle sue ali rispetto la mole del corpo. E da lì cominciò a serpeggiare il mito, l’enigma. Fino a quando un giorno, qualcuno disse: il Calabrone vola perché non sa di non poter volare”. Per quanto avvincente e motivazionale possa essere questa storia, è una fake news da tempo smascherata ed è strano che una persona ragionevole come Carlo la renda fulcro del suo essere.
Malgrado il calabrone, il film mantiene la propria forza espressiva e coinvolge inevitabilmente non solo senza mai annoiare, ma anche rivelando soltanto in conclusione la tematica motrice del tutto, sempre attuale e mai da passare sotto il silenzio, per quanto dolorosa possa essere: Il Talento del Calabrone è un grido di denuncia che ha bisogno di essere ascoltato, perfora lo schermo e tocca chiunque, senza eccezioni.