Regista: David Marmor
Produzione: USA
Anno: 2019
Il nostro giudizio: MOLTO BUONO
Recensione: Cristina Giammito
Sarah ha intenzione di voltare pagina trasferendosi a Los Angeles; il rapporto burrascoso con suo padre e la morte di sua madre la spingono a cercare la felicità altrove. Quando trova quello che sembra l’appartamento ideale le cose prendono una piega del tutto positiva: le piace già tanto quella nuova vita priva di imposizioni, nella quale può sentirsi protagonista. Eppure, loschi segreti si nascondono dietro le pareti di un condominio tutt’altro che ospitale. I suoi vicini di casa mostrano una gentilezza eccessiva che lei apprezza molto… ma i dubbi cominciano a muoversi tra pensieri dapprima innocenti: una dose di stramberia è iniettata nel loro quotidiano come se fossero prede di ipnosi; la loro interazione è come schematica, spoglia di qualunque spontaneità; i loro gesti perdono di naturalezza. Solo quando Sarah viene sequestrata nel mezzo della notte l’enigma comincia farsi chiaro lasciando alla comprensione libero accesso. La povera protagonista inizia ad essere pervasa da un’angoscia che scombussola la sua integrità psico-emotiva: allo spavento succede la rassegnazione e poi il desiderio di liberarsi di un incubo che non credeva possibile. L’horror pone l’accento su un tema già visto ma rielaborato in modo soddisfacente: l’imposizione di un dato stile di vita che dovrebbe comportare benessere sociale e individuale, abolire le sofferenze, garantire una vita perfetta e annullare la realtà vigente sulla terra. Il cervello è costretto ad una rieducazione e finisce per divenire parte integrante di uno schema utopico che però viene portato avanti dai suoi fermi sostenitori in modo bizzarro. Sarah è l’elemento divergente, una crepa sulla parete immacolata di una vita imposta o subisce il condizionamento fungendo da pedina e divenendo dunque l’oggetto passivo di un ingranaggio assurdo e distruttivo?
CONSIDERAZIONI FINALI:
La pellicola è perfettamente in grado di trasmettere allo spettatore il quantitativo giusto di suspense che rimane vivo fino all’ultimo minuto senza smorzarsi. Il senso di schiavitù appare soffocante come se noi stessi fossimo lì a divincolarci per riacquistare una libertà sottovalutata, smaniosi di vedere sullo schermo un lieto fine che darebbe gratificazione. Una riflessione primaria giunge spontanea, ovvero quanto fragile sia la natura umana, adescata da continue illusioni di perfezione, spinta ad atti ignobili, ammaestrata a snaturarsi fino a perdere completamente la propria essenza in favore di un qualche disegno sociale preimpostato. Il film si muove verso sentieri interessanti portando la mente a toccare tasti mentali che spesso si ignorano: la normalità è qui vista come una conquista, un qualcosa che è sfuggito dalle mani e di cui bisogna riappropriarsi. Questo film è portatore di tale messaggio, il quale a mio parere viene espresso egregiamente.
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