Autore: Andrea Sartori
Anno: 2017
Ed: IBUC
Il nostro giudizio: BUONO
Recensione: Francesco Lanari
Nutrivo da tempo il desiderio di ritrovare alcuni determinati personaggi storici all’interno di un romanzo. Finalmente con Dionisie. La prima inchiesta di Timandro il Cane questa possibilità si è avverata. Catapultandoci direttamente nell’Atene di fine del V secolo a.C. Sartori ci permette di conoscere Socrate, Alcibiade, Euripide e molti altri personaggi influenti in quella società.
Prima di addentrarmi nella trama, è doveroso dirvi che il libro abbraccia in toto il genere del romanzo storico, perciò dietro la storia dei protagonisti vi è la Storia con la “S” maiuscola, ossia l’insieme dei fatti e situazioni realmente accaduti che fanno da cornice narrativa a tutta l’avventura di Timandro e Erissimaco, e, perché no, anche da “spalla”.
Il romanzo si apre in medias res: Filocrate è stato assassinato e il medico Erissimaco, il protagonista, e anche il narratore della storia, viene incaricato dalla famiglia del defunto di scoprire chi sia stato l’assassino. Ad aiutarlo in questa impresa accorre il filosofo Timandro, soprannominato il Cane per il suo modo di vivere da “randagio”, non curandosi della propria immagine, della vanità, ma solamente dell’anima e dello spirito. Già si delineano due personaggi nettamente contrapposti: Erissimaco da medico si preoccupa solamente del corpo e non crede nell’esistenza di un’anima, di uno spirito; Timandro, invece, è l’esatto opposto. Da filosofo che si rispetti impiega il suo tempo nella ricerca del Vero e del Giusto. “La verità è come un attore: è una ma ha molti volti. E si sa che in greco volto e maschera sono la stessa parola. Bisogna levare molti volti e molte maschere, quelle che ogni popolo si dona, per arrivare al Vero”. La loro ricerca è influenzata dalle leggi della competizione teatrale delle Dionisie (che si tengono nel mese di Elafobolione, marzo – aprile), nella quale in questo periodo concorsero Euripide, Agatone e Xenocle. Oltre al povero Filocrate, ci saranno anche altri due omicidi, entrambi collegati alla stessa causa (naturalmente non vi posso svelare quale essa sia), perciò la trama sembra infittirsi: la democrazia, tenuta come su un piedistallo dagli ateniesi sembra mostrare gravi punti di fratture. Questo è un punto su cui ho riflettuto molto durante la lettura, ossia il fatto che la democrazia ateniese non differisca in maniera così evidente dalla democrazia italiana. Mi correggo: non è esatto parlare di democrazia, dato che ci sono davvero notevoli differenze tra la democrazia ateniese e la democrazia italiana (la democrazia antica escludeva le donne, si reggeva sullo sfruttamento degli schiavi e aveva un carattere diretto rappresentativo, ossia il cittadino partecipava attivamente alla vita politica: non ci sono decisioni che passano sopra la testa dei cittadini; nella democrazia moderna, invece, tutti i cittadini hanno uguali diritti, ma il loro potere è limitato, in quanto il cittadino ha il diritto di voto per delegare delle persone a decidere per lui. Ma la differenza più importante è che il nostro sistema non deriva da quello greco, infatti quest’ultimo finisce nel IV secolo (mentre la democrazia moderna nasce alla fine del ‘700), quindi, per questi motivi parlerò di mentalità. La mentalità ateniese del V secolo a.C. non è poi così differente rispetto a quella contemporanea (e questo è preoccupante!). Vi sono infatti narrati casi di corruzione, di raccomandazioni, di schiavitù al servizio del “denaro padrone”, di desiderio morboso verso il potere. Ma l’aspetto che mi sembra molto vicina alla situazione attuale è l’ignoranza popolare: questa regnava all’epoca e regna tutt’ora sotto il minimo comune multiplo del “gregge” (“Ma agli ateniesi non interessa la verità – continuò Lisia- le parole più belle li convincono”).
Il romanzo scorre bene e veloce, si notano la vitalità e la freschezza di Sartori che permettono di seguire sempre con curiosità la storia e di provare a “sparare” qualche personale teoria sul colpevole. Ci sono dei punti però che presentano delle lacune. In primis il tradurre un termine greco o una frase, all’interno di un discorso, in italiano. Questo per un semplice motivo: i personaggi parlano greco, dato che è ambientato ad Atene, però Sartori, giustamente, ha scritto il suo libro in italiano. È quindi scontato che i personaggi parlino tra di loro in greco, ma noi leggiamo in italiano per capirli. Un esempio: “Thanatos ex alòs – risposi – morte dal mare”. Che senso ha tradurre a un greco ciò che è greco? Sarebbe stato preferibile che Sartori mettesse una nota a piè pagina per spiegare questo termine.
Altro elemento narrativo che mi ha lasciato perplesso è la leggerezza finale di Erissimaco: un uomo razionalissimo che decide di bere il primo bicchiere (a forte rischio veleno) che si trova di fronte in una situazione scomodissima? E’ sicuramente un punto scricchiolante della trama. L’ultimo aspetto che non mi è piaciuto del romanzo è di natura tecnica: il suo sembrare, a volte, un copione teatrale, in cui i personaggi sembrano interagire ad esclusivo uso e consumo di una platea, a tutto discapito del realismo dei dialoghi e delle scene.
Naturalmente queste sono delle piccolezze che non pregiudicano la buona riuscita del lavoro.
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