Autore: Simone Bargiotti
Anno: 2015
Ed: Emil
Il nostro giudizio: MEDIOCRE
Recensione: Erika K. Biondi
TRAMA:
“Ci sono attimi eterni, infiniti. E’ un ossimoro, cioè accostare due termini antitetici, contrari: Può un attimo essere eterno, infinito? Può un attimo durare una vita? Nel mio caso sì, è un passato che non passa”
Secondo libro di Simone Bargiotti, non un vero e proprio romanzo, ma la storia di una psicoterapia, della psicoterapia; una sorta di regressione nel passato per andare a rintracciare le cause del malessere che a un certo punto ha colmato la vita del protagonista stesso.
Tredici capitoli brevi che analizzano una vita, perché un giorno il protagonista ha un crollo psicologico che lo porterà a una degenza forzata, ma che lo aiuterà a intraprendere un percorso di recupero.
RECENSIONE:
Scrivere diventa un mezzo per esorcizzare il demone interiore che ha deformato la realtà di Simone e che l’ha portato a indirizzarsi nel cammino sbagliato in primis a causa delle pressioni materne.
“Tutto il libro è incentrato su Arianna perché quello era Amore, è stata la vicenda di Arianna l’evento capitale della mia vita": questa ragazza è l’amore mancato, l’occasione persa che scandisce la giovinezza del protagonista e che lo porta ad avere dei rimpianti. Arianna è il perno attorno a cui ruota il libro e il disagio emozionale dello scrittore che sente di aver perso l’occasione della vita, ma la madre sembra essere la causa scatenante di tutti i guai “cosmici” che determinano le scelte sbagliate di una vita con un passato di oneri subiti e obblighi sociali/familiari insormontabili che scatenano malesseri interiori e cerenze affettive.
Simone ha la personalità del sognatore, è romantico, si interroga sul senso della vita, ama le materie umanistiche pur essendo costretto dalla madre a studiare ragioneria, vive in un mondo parallelo che lo isola dalla realtà e che lo mette in condizione di soffrire per la vita che si ritrova a dover vivere e che non lo soddisfa.
Le ragioni del disagio hanno radici profonde e ancestrali “ una cosa è l’essere, un’altra il dover essere”.
Lo scrittore, nonché protagonista, si mette a nudo raccontando la sua esperienza e rendendo partecipe il lettore delle domande che lo assillano e delle risposte che lo aiutano ad avanzare nel processo di maturazione: una sorta di confessione in piena regola sulla quale è calata la maschera del perbenismo per farci scorgere meglio l’essenza del disagio e del “male di vivere”.
Il testo si snoda attraverso un flusso di pensieri, considerazioni e digressioni, il racconto di quel che accade quando, a un certo momento, un ragazzo si rende conto di vivere in una vita che non sente propria.
La riflessione sulle dinamiche adolescenziali che si sublima in un’analisi soggettiva che diventa monito per chiunque abbia fatto dello sballo smodato e del sesso una sorta di valvola di sfogo che si è invece trasformata in sabbie mobili d'insoddisfazione e apatia. Bargiotti racconta quindi di un se stesso che ha dovuto fare i conti con la quotidianità asettica e con il giudizio, spesso immeritato,di una famiglia un po’ invadente.
Ogni capitolo è la risposta a un dubbio e a una mancanza, ogni parte viene analizzata e spiegata dal protagonista in maniera profonda facendo uso anche di flash back e andando a scavare nella psiche dello stesso e di chi ha fatto e fa parte della sua vita. Sicuramente la madre viene presentata come la principale causa scatenante di scelte che hanno segnato una vita e che hanno innescato un processo di insoddisfazione e bisogno di evasione, lo stesso che viene descritto nel primo libro in cui lo sballo serve a estraniarsi e a vivere in un universo parallelo di deresponsabilizzazione. Certamente la figura materna è determinante nella formazione di un figlio e quella di cui si parla viene presentata come una donna autoritaria e poco accondiscendente e sicuramente ha avuto la sua dose di colpa nello stato psicofisico del figlio che dapprima è imploso e ha subito, ma che poi, come in ogni percorso che è stato costretto per tanto tempo, subisce un’esplosione quasi ingestibile. Sinceramente credo che questo “accanirsi” e scaricare le responsabilità sugli altri denoti un senso di incompiuto che si respira ad ogni riga. Sembra di leggere un processo alle intenzioni nei confronti di questa donna che in molti passaggi da alla lettura una cadenza un po’ pressante. Il libro appare un ibrido tra una biografia e un trattato psicologico senza investirsi di un ruolo ben definito che lascia un po’ spaesati.
“Ma la vita è strana, l’amore parecchio bizzarro: puoi essere la persona più attraente e gradevole di questo mondo, ma se non lo sei per la persona che davvero ti interessa è quasi una beffa. Puoi essere molto meno attraente e desiderabile ma se agli occhi della persona che ami sei speciale hai fatto 13 al totocalcio. Sognamola, la California. E’ lontana, lontanissima. Ma basta trovare l’aereo giusto e allacciarsi le cinture…”
CONSIDERAZIONI FINALI:
Scrittura a grandi linee omogenea anche se un po’ lenta e in alcuni punti, nonostante tutto, frantumata.
Forti i richiami al libro “Voglio sentire l’urlo del tuo respiro” anche se ci sono differenze sostanziali di stile: nel primo testo assistiamo quasi ad una rappresentazione scenica, con “Il giorno più bello della mia vita io non c’ero” invece siamo dietro le quinte, una sorta di viaggio ideale nell’interiorità e nel disagio.
Testo riflessivo anche se in alcuni passaggi ci si perde in un dedalo di considerazioni caotiche e logoranti.
Le diverse ambientazioni dei capitoli, che trattano argomenti molto importanti , accompagnano il lettore in un crescendo di ansia e amarezza con stati d’animo al limite dell’equilibrio..
“la vita non è un dono, ma sofferenza. E’ il Samsara, cioè il ciclo delle nascite e morti, è sofferenza” e su questo è incentrato tutto il testo.
Probabilmente anche in questo caso non ci troviamo di fronte a un’opera che rappresenterà la letteratura italiana nel mondo, tuttavia vengono analizzati stati d’animo che sono facilmente riconoscibili e che fanno riflettere parecchio.
Il libro piace: NI.
In alcuni capitoli lento e noioso, forse anche forzato, ma come cita l’autore: “come diceva Eraclito tutto scorre. Quindi, la vita è un film, non una fotografia. Per questo io non posso attaccarmi a niente di questo film, perché tutto è in continuo cambiamento”.
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