Artista: Pinguini Tattici Nucleari
Anno: 2020

 

 


Il nostro giudizio: OTTIMO
Recensione: Alessia Priori


Ormai è passato un anno da quando il gruppo indie/pop I Pinguini Tattici Nucleari ha iniziato la propria escalation nelle classifiche italiane, sebbene sia in realtà già trascorso quasi un decennio dall’uscita del primo EP, Cartoni Animali. Senza dubbio il ritmo, i testi e le melodie sono cambiate da allora e per i fan più appassionati Castagne Genge continua a rimanere prima in classifica; tuttavia nel nuovo album Ahia! non mancano gli ingredienti principali che hanno caratterizzato il gruppo sin dai primi albori: un pizzico di cultura, un goccio di vintage, quanto basta di ironia e una spolveratura di meravigliosa normalità.



“Voglio quelo che tu non mi mostri, i tuoi demoni e tutti i tuoi mostri”
Nel 2012 dei giovani pinguini cantavano Scooby Doo I Love You. Dopo otto anni, quattro album, un fumetto, Sanremo e un tour in attesa di realizzarsi, hanno deciso di riaprire il loro secondo EP con un secondo Scooby Doo, singolo totalmente differente dal suo predecessore. Al ritmo urban, fra raeggeton e pop, Riccardo Zanotti ritrae una classica Manic Pixie Dream Girl nascosta dietro la maschera dell’ “alternativa”, falsamente cinica e intellettualoide. Lo smascheramento alla Scooby Doo rivela dunque il “mostro” della normalità, quelle lacrime davanti ai TikTok e le poesie d’amore dimenticate nello spam; la creatura dietro lo stereotipo dell’artista è una ragazza come tante, propria di una dimensione quotidiana spesso sottovalutata, ma che diventa il file rouge di tutto l’EP.

Vedi non sono bravo a fare restare chi mi vuole bene, però so aspettare”
Cosa vi è di più comune del trovarsi davanti al telefono, con Whatsapp aperto, e le mani bloccate su un messaggio che non riesce a comporsi? Se un tempo per tornare dalle persone si intraprendevano romantiche corse sotto la pioggia, oggi vi è l’ansia dello “sta scrivendo” e della spunta blu, la paura che non riceveremo risposta e che quei “ti amo” non verranno più pronunciati come una volta. Scrivile scemo mantiene il ritmo pop - raggaeton di Scooby Doo, con una nota più accesa di malinconia. Infatti dalla chat aperta si passa all’infanzia, quando ci voleva poco ad avere coraggio: il testo si tinge di anni novanta, primi anni duemila, mentre Zanotti riporta alla memoria la bambina di cui è ancora innamorato, le cotte adolescenziali della stessa, Bon Iver pronunciato ancora sbagliato, in nome di colei che non vuole dimenticare e una puntata della Melevisione, “interrotta da torri che andavano in fiamme” e domande. Dopo il breve e vertiginoso salto storico, le parole piombano nuovamente nella normalità presente, dove anche se l’infanzia è passata, domande senza risposta continuano ad affollare la mente del cantante: Ma dove sei?
L’ansia non attende risposta e chiede subito scusa, perché quando dall’altro lato vi è silenzio, la colpa non può che essere nostra; tuttavia, se l’ansia è impaziente, altrettanto non è l’amore, che continua a insistere sussurrando scrivile scemo….

“Milano è un gran bell’ideale da inseguire, un sogno che fa solo chi non riesce mai a dormire”
“Un pop scanzonato”, così l’ha definito lo stesso Zanotti e non possiamo che essere d’accordo.  Con un ritmo che non può non far sorridere, Bohemién racconta una convivenza andata male, ma di cui si conserva un dolce ricordo. All’ascolto si dipingono strade grigie di una Milano caotica vissuta all’insegna di un sogno che non lascia tempo nemmeno per mettere le luci di natale; le tinte naif e hipster donano un’aria fresca, simile a quella novembrina, a tutto il testo che si rivela essere un elogio alle prime esperienze: prima casa fuori, prima convivenze, prime cene in famiglia. Tale però non scade nell’ideale, ma mantiene quell’aspetto frizzante del reale rammentando la paura, il desiderio di non correre troppo, le prime litigate e i contrasti fra nuora e suocera. Per citare un altra loro canzone, “Non serve che sia bello, basta che sia vero” e Bohemién è un piccolo quadro che segue perfettamente la realtà con un sorriso.

Perché un addio suona troppo serio e allora ti dirò bye bye”
Dopo tre brani allegri, la malinconia prende il sopravvento con una ballata triste che sa di amore e scuola elementare. Il testo si collega al libro Ahia di Zanotti, ma non perde di bellezza se preso singolarmente: Una storia d’amore prigioniera della dimensione del ricordo, a cui non si può tornare, ma che lascia attese, lacrime, sorrisi e piccoli vuoti e spazi bianchi che aspettano di essere colorati. Come in Scrivile Scemo, le immagini si altalenano fra presente e passato, fra litigate nei bar e segreti scritti sul diario, ma ormai non vi è più possibilità di tornare indietro, perché a volte “bisogna lasciar perdere i vecchi ricordi” per andare avanti. Pastello bianco però è molto più di una triste ballata, perché dinanzi ad una perdita reagisce con un sorriso, con un augurio di felicità a chi non si può più avere accanto: è un inno al prendere la vita con speranza e leggerezza, ad asciugarsi le lacrime e vivere notti migliori e a sostituire i pesanti addì con semplici bye bye.

Sembrava La Storia Infinita, ma forse era solo la felicità”
Uscita come singolo ad agosto, La Storia Infinita ha raggiunto ben presto milioni e milioni di visualizzazioni online, non solo grazie al suo ritmo pop e cantabile, ma anche al testo universale che parla di un’estate ipotetica senza fine in cui tutti si possono riconoscere, che sia stata a 15, 20 o 30 anni, oppure che debba ancora avvenire. Proprio in virtù di questa universalità i riferimenti spaziano da film degli anni sessanta, a quelli degli anni ottanta, sino alle serie tv vintage che negli ultimi anni hanno fatto successo; ciascuno di questi assume un significato diverso per chi l’ascolta, rammentando immagini immortali di una dimensione aldilà del tempo: l’estate.

Potete fare meno rumore, quando fate l’amore?”
Ilaria, Irene e ora Giulia. Se la letteratura ha le sue donne (Beatrice, Laura e Fiammetta), I pinguini hanno le loro. Come le prime due, anche Giulia ha il sapore di un vecchio cantautorato ringiovanito dal ritmo allegro che paradossalmente si sposa alla perfezione con una storia dal retrogusto amaro. Le parole sono quelle di un ragazzo innamorato, pronto a prendersi i rimproveri dei coinquilini pur di vederla sorridere e ad affrontare il padre di lei quando l’esame va male. Tale amore è tanto forte che non si scalfisce dinanzi al tradimento di quella con un professore che neppure sembra conoscerlo questo sentimento; egli continua a dormire sul divano del loro appartamento, con in mano la sua foto e la aspetta, anche se forse invano. La domanda finale ricollegandosi ai primi versi, chiude un cerchio perfetto di cui il centro rimane Giulia, ma al cui interno non c’è più la voce narrante : egli si ritrova nei panni dei coinquilini che pretendevano silenzio la notte, fuori dalla dimensione d’amore rappresentata da quel grande letto su cui ella ancora dorme, ma accanto ad un altro.

Ti prego fatti dire amore mio, che eri davvero bella quando cadevi e dicevi Ahia!”
Allo stesso Bon Iver di cui sbagliava la pronuncia in Scrivile Scemo, Riccardo Zanotti si ispira per Ahia!, il brano finale che chiude ed intitola l’EP. Il brano è una lenta ballata folk che riprende la lettera d’amore nelle ultime pagine del libro dello stesso cantante e che si dondola fra il tempo del passato e quello dell’attesa. Ritorna il tempo delle elementari, con le sue filastrocche e le poesie, i giochi in cortile e l’adolescenza, con i McFlurry alle tre del mattino e gli autoscontri con gli amici; l’infanzia si unisce all’età adulta e all’adolescenza, fra amore, innocenza e meraviglia, su un piano di comune normalità nella quale chiunque si può riconoscere.

I Pinguini Tattici Nucleari hanno dimostrato con Ahia! di essere riusciti a comunicare in modo semplice e senza dimenticarsi di sorridere un messaggio riassumibile in una sola parola, che è anche espressione, emozione, ricordo e meravigliosa quotidianità. Perché, come dice Riccardo Zanotti: “Nella sua semplicità, Ahia descrive un'infinità di emozioni e sentimenti, ed è per questo che ho voluto chiamare così sia il mio libro che l'ultimo nostro lavoro discografico, per ricordarci che siamo bambini che non devono avere paura di cadere e sbucciarsi le ginocchia"

 

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